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Il testo ignoto è una promessa

Michele Pedrazzi

The Next Bit. Corpo a corpo con l’ignoto

Veröffentlicht am 08.04.2018

DE FR

1. Sulla soglia

Immaginiamo di trovarci al cospetto di un “oggetto semiotico” ignoto. Potrebbe trattarsi di un dipinto, di un brano di letteratura, di un pezzo musicale, di un programma informatico, di un artefatto culturale in senso lato: poco importa al momento, ciò che ci interessa è il carattere di estraneità di questo oggetto, di cui ignoriamo al momento tutto. Attardiamoci per un attimo in questo limbo interpretativo. Nella realtà, questa sorta di tabula rasa sostanzialmente non esiste, ogni oggetto ci arriva già preceduto da ampie anticipazioni, recensioni, spoiler; e anche fossimo rimasti al riparo da tali condizionamenti, saremmo noi stessi i primi a infrangere questa bolla di pura novità, formulando una serie di assunzioni sulla base del contesto o dell’esperienza passata. Immaginiamo allora un’intelligenza artificiale, appena venuta al mondo e ipoteticamente priva di precondizionamenti. Come inizierebbe la lettura? La Teoria dell’Informazione di Claude Shannon ci offre forse la risposta più semplice e radicale: essa inizierebbe con il primo bit.

Questo primo frammento di informazione, nella teoria di Shannon, è davvero un’unità astratta ancora lontana dai bit che maneggiamo disinvoltamente oggi, quando valutiamo il “bitrate” di uno streaming o i “64 bit” del nuovo smartphone. Ma la sostanza rimane la stessa, e una volta accettata l’astrazione, dobbiamo immaginare il nostro oggetto polverizzato in tanti minuscoli pacchetti, messi ordinatamente in fila, e noi lì ad assistere a questa interminabile processione. Tra un bit e l’altro di questa paradossale “lettura”, la domanda che ci possiamo porre è: cosa porterà il prossimo bit? Sconvolgenti novità? Semplice ridondanza? Quanta informazione è contenuta nel bit in arrivo? La Teoria dell’Informazione modella questo processo con eleganza matematica e fa ricorso alla teoria probabilistica per quantificare l’informazione del prossimo bit: essa è, molto semplicemente, inversamente proporzionale alla sua probabilità. Un messaggio scontato o ridondante, che ha un’alta probabilità di essere emesso, trasporta poca informazione, mentre un messaggio inaspettato, quindi poco probabile, trasporta una grande quantità di informazione. La nostra intelligenza artificiale, ritrovatasi quindi a valutare le probabilità del prossimo bit, potrà affrontare la questione statisticamente, con modi e velocità molto lontani dalle facoltà umane. Torniamo allora al momento in cui noi stavamo iniziando a leggere il nostro artefatto culturale, l’oggetto ignoto. Voltiamo pagina, oppure premiamo play, e le prime impressioni iniziano a formarsi, così come le prime ipotesi, che iniziano a concatenarsi al ritmo del nostro pensiero, forse ad accavallarsi e confondersi, influenzate dalle nostre emozioni, modulate da tutte le altre nostre sensazioni fisiche. Ma tutti noi lettori, umani, artificiali, reali o immaginari, siamo impegnati in un’attività comune: fare congetture sul prossimo bit.

2. Correzioni di rotta

In questa fase di tensione verso l’ignoto, il momento in cui maneggiamo il nuovo bit di informazione non è però sede di un puro processo di calcolo, ma di una sorta di dialogo, anzi una danza, quasi un corpo a corpo con il bit in arrivo. Ritroviamo ad esempio questo tipo di interazione con il testo nei modelli di interpretazione “tensiva” che costituirono il nucleo del lavoro del musicologo Leonard Meyer. Peculiarità di questo tipo di approccio è di presuppore una semiotica essenzialmente concentrata sul lato della ricezione. L’interpretazione dei testi diviene un processo di costruzione delle aspettative: nel momento in cui ci immergiamo nell’ascolto o nella lettura del testo ignoto formuliamo ipotesi su quello a cui stiamo assistendo, cerchiamo di anticipare la prosecuzione per capire meglio quello che sta avvenendo. Ci possiamo domandare: quella che sta formandosi nel disegno melodico è una figura di tipo A o una figura di tipo B? Quel certo schema ritmico prevede una conclusione secondo la forma X o la forma Y? Sono gli stessi compositori a conoscere questi meccanismi e a creare i testi in maniera da giocare con le tensioni e le aspettative del lettore. Meyer propone una teoria sul funzionamento semantico della musica in cui sono proprio questi rimandi a costruire il significato. Strutture che creano certi tipi di aspettative suscitano una tensione verso una risoluzione congruente, che può essere poi realizzata o smentita. In questo senso si può dire che una sequenza di suoni significa la propria ipotetica prosecuzione, e che il nostro coinvolgimento come ascoltatori sia determinato dalla sapiente disposizione di tracce allusive e di risoluzioni efficaci.

La fruizione di un testo ignoto è indagine attiva in senso pieno, e in veste di lettori siamo costantemente in attesa di indizi che ci facciano correggere la rotta. Si tratta di lavoro creativo, di un’attività di costruzione di significato che sceglie di privilegiare alcuni collegamenti o di “tappare” alcuni buchi, secondo un modello in via di costruzione. E associato a quest’attività vi è un “percorso passionale”, un movimento emotivo che contempla anche il momento euforico quando gli indizi ci rivelano che vi è una forma: iniziamo a mettere insieme i dati e ci rendiamo conto che c’è una traccia sottostante, forse una struttura che si manifesterà gradualmente, tra colpi di scena e rivelazioni ambigue. Anche gli elementi estranei o fuorvianti fanno parte del gioco in cui il testo ci immerge. La loro apparente improbabilità (che teoricamente li carica, come abbiamo visto, di molta informazione), potrà essere successivamente attenuata con ulteriori indizi di rinforzo, oppure lasciata nell’ambiguità, se non addirittura ricondotta a puro gioco aleatorio. La parte più minacciosa dell’ignoto, l’estraneo, il non conforme, non è altro che una biforcazione, un termine che rimanda a una forma che per il momento non verrà attivata. Forse lo sarà più tardi, o forse mai, lo scopriremo nella lettura. Per tutta la sua durata, il testo ci obbligherà a navigare a vista, fino alla conclusione, dopo la quale potremo temporaneamente gettare l’ancora in acque tranquille.

3. Il senso controcorrente

Il discorso musicale è saldamente ancorato al tempo. Nel tempo la musica si dispiega e, concretamente, esiste. E dato che il futuro è forse la forma più ineludibile di ignoto, dall’esempio musicale possiamo trarre altre indicazioni interessanti. Non siamo in grado di analizzare un brano musicale nell’immediato, come invece fa l’algoritmo di Spotify, che legge e classifica un file musicale in un indefinito tempo presente. Per godere di un’opera musicale dobbiamo attraversarne la durata, e passare attraverso il percorso passionale che il brano ci impone. In definitiva, non si può dire di aver davvero ascoltato un brano musicale senza essere arrivati fino alla sua conclusione. E questo non solo perché si tratterebbe di un ascolto parziale, ma perché il momento della conclusione proietta l’opera in una nuova dimensione, in cui il verso della musica cambia. Se prima il nostro ascolto seguiva l’evolversi del discorso saldamente allacciato allo scorrere del tempo, una volta arrivato al finale il nostro pensiero analitico inizia a chiudere le sue ipotesi e si appresta inesorabilmente a scorrere all’indietro quanto si è appena ascoltato. “Dunque a questo alludeva quell’enigmatica introduzione!” ci si dice, dopo che si è scoperto quale sviluppo hanno subito i materiali che avevamo sentito all’inizio. Ecco quindi che, quando il testo si è palesato per intero, l’interpretazione cambia verso. Il brano esce dallo scorrere dal tempo ed entra in un limbo semiotico in cui si può risalire il senso controcorrente e, finalmente, mettere in relazione le parti a piacere, come si stesse vedendo un dipinto. O quasi: il fascino della musica sta proprio nella sua inafferrabilità, e non vi è limbo semiotico che ci possa davvero restituire il crescendo emotivo di un vero ascolto.

4. Tensioni a senso unico

È possibile allora analizzare un crescendo emotivo scomponendolo in bit, o magari rovesciarlo e ripercorrerlo all’indietro? Henri Bergson ci direbbe che l’operazione si può certo fare, ma che bisogna sempre ricordarsi del secondo principio della termodinamica. Ovvero, non esistono trasformazioni davvero reversibili, e quindi non avremo mai sotto gli occhi lo stesso processo.

Allo stesso modo, secondo Bergson, la vita della coscienza non può essere analizzata scomponendola in “atomi psichici”, ad esempio come quando cerchiamo di isolare analiticamente i processi logici dell’intelligenza. La vita della coscienza può solo essere oggetto di intuizione, ovvero “la simpatia che ci trasporta all’interno di un oggetto per coincidere con quello che esso ha di unico” (Bergson 1903). Un approccio simile si applica anche al concetto di tempo. Se da Aristotele in poi il tempo viene identificato come una successione spaziale di istanti distinti, somma di un insieme qualitativamente omogeneo di quantità definite, il tempo intuito di Bergson, invece, si dà alla coscienza come un continuum all’interno del quale convive un misto di differenti elementi qualitativi. Per la vita della coscienza il tempo non è un rapporto numerico quantitativo, dove la natura qualitativa di ogni istante è irrilevante, come avviene nelle equazioni della meccanica. Esiste tutto un ordine di realtà intuita che sfugge alla coscienza di tipo matematico, poiché dura nel tempo.

Ritorniamo allora al momento di tensione verso l’ignoto, all’attesa del prossimo bit. La rilevanza dell’approccio qualitativo balza all’attenzione quando Bergson si concentra sulla percezione della grazia nel movimento corporeo. Definita inizialmente come percezione di una certa disinvoltura e spontaneità nel movimento, la grazia assume una diversa profondità nel momento in cui si constata che i movimenti più aggraziati sono quelli che si predispongono l’un l’altro, movimenti che si lasciano prevedere, ovvero in cui è possibile ravvedere, indicati e preformati negli atteggiamenti presenti, gli atteggiamenti futuri. Al contrario, se i movimenti bruschi sono privi di grazia, ciò è dovuto al fatto che ognuno di essi appare autonomo e non preannuncia quelli che stanno per seguirlo. La linea per definizione curva della grazia cambia sì direzione a ogni istante ma questa nuova direzione è già indicata in quella che la precedeva.

Qui, la percezione di un muoversi spontaneo si fonde allora con il piacere di arrestare in qualche modo la marcia del tempo, e di tenere il futuro nel presente. Un terzo elemento interviene allora allorché i movimenti aggraziati obbediscono a un ritmo e sono accompagnati dalla musica. In tal caso il ritmo e la misura, permettendoci di prevedere ancor meglio i movimenti dell’artista, ci fanno credere di esserne i padroni. Siccome indoviniamo l’atteggiamento cha sta per assumere, quando l’assume effettivamente sembra quasi che ci stia obbedendo; la regolarità del ritmo fa sì che tra lui e noi si stabilisca una sorta di comunicazione. [...] Nel sentimento dell’aggraziato entrerà allora una specie di simpatia fisica. (Bergson 1889, trad. it. p .11)

Nella filosofia bergsoniana, nel nucleo del pensiero sugli “stati di coscienza”, questa simpatia fisica va oltre la metafora: in presenza di uno più piaceri concepiti dall’intelligenza, afferma Bergson, il nostro corpo si orienta spontaneamente, come per una azione riflessa, verso uno di essi. Così, nell’immaginare un cantante che emette un acuto, e provando ad analizzare con attenzione quale sia la nostra idea di una nota acuta, si finisce per pensare allo sforzo più o meno grande che il muscolo tensore delle nostre corde vocali dovrebbe fare per riprodurre a sua volta la nota. Sono casi insomma in cui è il corpo a guidare le nostre tensioni interpretative. E quando il meccanismo funziona, la nuova informazione “sembra quasi che ci stia obbedendo”.

5. Corpo a corpo con l’ignoto

Negli anni ’60 del secolo scorso, Alfred Schutz ribadiva che la relazione tra spettatore e compositore è stabilita dal fatto che lo spettatore di un brano musicale partecipa a, ed entro un certo limite ricrea, le esperienze del suo consimile che creò l’opera, con un’operazione simile alla simpatia proposta da Bergson. Il flusso di suoni che scorrono nel tempo è un ordinamento dotato di significato tanto per il compositore quanto per lo spettatore, nella misura in cui esso evoca un’azione reciproca di ricordi, ritenzioni, protensioni e anticipazioni che entrano in relazione con gli elementi successivi. Per Schutz questo tipo di relazione non è confinata alla sola dimensione psichica. Da un lato infatti vi è il tempo interno, una dimensione in cui ciascun esecutore ricrea passo passo il pensiero musicale del compositore e attraverso il quale egli si trova altresì collegato all’ascoltatore. Dall’altro lato invece, fare musica insieme è un evento del tempo esterno, che presuppone anche una relazione faccia a faccia, o corpo a corpo, cioè una comunanza di spazio, ed è questa dimensione che unifica i flussi di tempo interno e garantisce la loro sincronizzazione nel presente “vivido”. La relazione è stabilita dalla reciproca condivisione del flusso di esperienze dell’altro, vivendo in comune il presente ed esperendo questa comunità come un “noi”. Ed è soltanto all’interno di questa esperienza che la condotta dell’altro acquista significato per un interlocutore “sintonizzato”.

Come diceva Bergson, per valutare un sentimento in maniera adeguata, è necessario essere passati attraverso tutte le fasi del sentimento stesso e averne esperito la stessa durata. Una citazione comunemente riferita a Johannes Brahms sembra proprio illustrare questo fenomeno: “Se voglio ascoltare una bella esecuzione del Don Giovanni, mi accendo un buon sigaro e mi stendo sul divano.” In sostanza è da supporre che lo stesso Brahms, accingendosi a rieseguire mentalmente un Don Giovanni, si metta comodo e si procuri un buon sigaro perché, per quanto conosca bene l’opera (tanto da considerare la sua personale interpretazione la più piacevole), egli la deve rieseguire nella stessa durata. Ma forse non è tutto: dal suo comodo divano Brahms deve anche immaginare un “noi”, deve ricostruire l’intersoggettività con i suoi orchestrali, e forse anche con un pubblico che lo segue attentamente.

Il testo ignoto quindi non è mai veramente estraneo, la nostra stessa attività di interpreti ci porta, dal primo bit in poi, a iniziare un’interazione, un corpo a corpo, che ci porta quanto mai vicini l’un l’altro. Ed ecco che la “quantità di informazione” contenuta nel prossimo bit diventa parte di un gioco di contrasti, di tensioni su cui impostare la danza. L’alternanza degli indizi, delle aspettative e delle rivelazioni ci porta a momenti di totale simpatia, in cui siamo così saldamente dentro il ritmo del testo da poterne presagire ogni movimento, come se fosse nostro. Il testo ignoto è quindi una promessa, una promessa di un percorso che tenderà a coincidere con la nostra vita stessa.

Bibliografia


Bergson, Henri

1889 Essai sur les données immédiates de la conscience, Paris; trad. it. Saggio sui dati immediati della coscienza, Milano, Cortina, 2002.

1903 Introduction à la métaphysique, Paris; trad.it. Introduzione alla Metafisica, Roma-Bari, Laterza, 1983.


Meyer, Leonard

1956 Emotion and meaning in music, Chicago, The University of Chicago Press; trad. it. Emozione e significato nella musica, Bologna, Il Mulino, 1992.


Shannon, C.E.

1948 «A Mathematical Theory of Communication», Bell System Technical Journal, n. 27, pp. 379–423 & 623–656.


Schutz, Alfred

1964 “Making Music Together” [1951] in Collected Papers II: Studies in Social

Theory, Den Haag, Martinus Nijhoff; trad.it. Frammenti di fenomenologia della musica, Milano, Guerini e associati, 1996.

1976 “Fragments on the Phenomenology of Music” [1944], in F.J. Smith (a cura di), In Search of Musical Method, New York, Gordon&Breach; trad.it. Frammenti di fenomenologia della musica, Milano, Guerini e associati, 1996.


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Michele Pedrazzi

Michele Pedrazzi

ist ein Medienkünstler und Musiker, der in Verona, Italien, geboren wurde und derzeit in Berlin lebt. Er studierte Elektronische Musik am Konservatorium Bozen und promovierte über Improvisation in der Musik im Fachbereich Semiotik an Umberto Ecos SSSUB in Bologna. Als Mediendesigner hat Pedrazzi in Italien und Deutschland mit Studio Azzurro, N!03, Teatro del Suono, Asteria, id3d-berlin und Beier+Wellach gearbeitet. Zu seinen musikalischen Veröffentlichungen zählen: Three Diamond Ohms (Phonoethics, 2013), OU (Aut Records, 2015, mit Filipe Dias De) sowie die Zusammenarbeit mit der Band Toxydoll (Aut Records, 2017).